Marie-Flore

Prima ancora di dedicarsi alla musica, l’artista francese Marie-Flore ha lavorato nel mondo della moda per il famoso brand Maison Kitsuné. Il suo primo progetto musicale aveva influenze folk e poco dopo matura la decisione di cantare in francese, cosa che le consente di esprimere aspetti più oscuri legati a esperienze personali, in particolare una relazione tossica del passato. 

L’album Braquage del 2019 ha ottenuto un grande apprezzamento dalla critica, che ne ha elogiato lo stile pop malinconico e provocatorio che esplora dinamiche emotive complesse. L’incontro ufficiale con il grande pubblico si deve al singolo “QCC”, grazie al quale divenne una voce conosciuta.

Nel 2023, Marie-Flore ha pubblicato l’album Je sais pas si ça va, che include il singolo di grande successo “Mal barré”. Anche questo album continua a esplorare temi emotivi e relazionali, mantenendo intatta la sua caratteristica fusione di ironia e sincerità, sia nei testi che nelle sue performance live.

Ora è tornata con Quelques centimes, il primo singolo del suo prossimo album, pubblicato a settembre 2024. In questo pezzo grezzo e coinvolgente, Marie-Flore conferma il suo talento per i testi incisivi, mescolando promesse e rimpianti. Esplora con delicatezza le sfumature dell’amore, quei voti che facciamo interiormente mentre desideriamo condividerli con l’altro. La canzone cattura il momento fugace in cui si incrocia una persona amata per caso, e ciononostante si prosegue come se nulla fosse.

Grazie alla sua atmosfera avvolgente, con Quelques centimes è come immergersi in un film, che offre un’esperienza emozionante sin dalle prime note. Scritta, composta e arricchita con arrangiamenti di archi dalla stessa Marie-Flore, è una canzone che fa ben sperare per quello che sarà il suo nuovo album, prodotto e mixato da Marlon B.

Emidio Clementi / Corrado Nuccini – Perché io non spero più di ritornare

EMIDIO CLEMENTI / CORRADO NUCCINI

Per la prima volta a teatro con

Perché io non spero più di ritornare

Un viaggio sospeso tra parole e musica che esplora l’Altrove, quel concetto tanto materico quanto spirituale che da sempre attrae e disorienta, affascina e spaventa, insegue ed è inseguito dall’uomo.

Perché io non spero più di ritornare è il primo spettacolo teatrale di Emidio Clementi insieme a Corrado Nuccini, in programma per un’unica e preziosa data venerdì 13 dicembre all’Arena del Sole di Bologna. Qui i biglietti.

Scritto e interpretato dal musicista e scrittore, leader della band di culto Massimo Volume, con il progetto musicale del chitarrista e fondatore dei Giardini di Mirò, lo spettacolo è naturale evoluzione e intima sintesi della trilogia musicale e letteraria creata da Clementi e Nuccini nell’arco di un decennio, uscita per 42 Records. Un viaggio iniziato con Notturno Americano, in cui ripercorrevano l’America urbana del primo ‘900 descritta da Emanuel Carnevali, proseguito con Quattro Quartetti, testamento letterario di T.S.Eliot, e conclusosi con Motel Chronicles, di cui hanno tradotto e trasportato in musica alcuni estratti dell’omonimo lavoro di Sam Shepard.

Tre autori profondamente diversi ma le cui opere sono attraversate dall’esplorazione di un immaginario comune, che guarda verso un altrove che spesso solo la letteratura riesce a raggiungere e che arriva a confondere i luoghi e perfino la sequenza cronologica.

Un altrove inteso sì come scoperta, ma anche come spaesamento, aggiunge Clementi, che per la prima volta sale su un palco in veste di interprete teatrale. In effetti tutti e tre gli scrittori raccontano di un luogo (e da un luogo) che non è il loro, che li rende stranieri (le camere d’albergo di Shepard, le strade di New York di Carnevali, il mare e il tempo di Eliot), ma di cui hanno bisogno per accendere la propria voce poetica e raccontare il mondo.

Il titolo dello spettacolo ribadisce proprio quest’ambiguità: Perché io non spero più di ritornare è un verso di Guido Cavalcanti ma è anche l’incipit di Mercoledì delle ceneri di T.S.Eliot, in cui l’autore esprime il desiderio di un ritorno o forse, invece, il suo contrario.

Questo senso di straniamento e di ambiguità sono presenti anche ne L’ultimo dio (Fazi), il romanzo di Emidio Clementi che narra della sua fuga dalla provincia e dell’incontro con la scrittura e la figura di Carnevali.

Ecco quindi che la voce autobiografica di Clementi, la sua esperienza di un Altrove, diventa l’ossatura del recital che lo vede protagonista: il recitativo su cui si innestano le arie delle pagine degli altri tre scrittori, il tema da cui si diramano le variazioni.

Gli estratti da L’ultimo dio fanno da collante tra alcuni dei brani contenuti negli album e altri inediti, plasmando uno spettacolo coeso e intenso, in cui l’interpretazione di Clementi è affiancata da un accompagnamento visivo inedito e da un progetto musicale ad hoc, che racchiude le molteplici e sfaccettate atmosfere degli album: dal ghostly blues di Notturno Americano, al sound introspettivo di Quattro Quartetti, fino alle raffinate e dilatate sonorità di Motel Chronicles.

Perché io non spero più di ritornare guida attraverso un percorso condiviso, in cui le voci portate sul palcoscenico si fondono e confondono in un grande affresco – umano più che semplicemente letterario e musicale – che abbraccia oltre un secolo e in cui ognuno può ritrovare una parte del proprio viaggio, immagini della propria America.

Che sia nel vagabondare dei personaggi di Sam Shepard, che cambiano di continuo città e accendono falò con i loro oggetti personali, bruciando così il sogno di cambiamento a lungo cercato nei viaggi e negli incontri; o nell’itinerario di Emanuel Carnevali, che attraversa l’oceano all’inizio del ‘900 per coronare il suo sogno di scrittore; in quello di T.S. Eliot, che invece fa la strada inversa, parte da St. Louis e approda a Londra; o nella fuga di Clementi, fatta di solitudine e di presa di coscienza di sé, dolorosa e necessaria al tempo stesso.

Emozioni diverse ma accomunate da una sensibilità condivisa verso l’idea di viaggio, ben sintetizzata visivamente anche nella locandina dello spettacolo: un prezioso scatto del celebre fotografo italiano Giovanni Chiaramonte, la cui arte ha sempre esplorato l’esistenza umana in modo profondo e sfaccettato.

 

Scritto e interpretato da Emidio Clementi

Progetto musicale di Corrado Nuccini

Regia di Paolo Bignamini

Con musica dal vivo di Emanuele Reverberi, Francesca Bono, Corrado Nuccini

Progetto luci e spazio scenico di Matteo Gozzi

Aiuto regia e drammaturgia di Giulia Asselta

Produzione di DNA Concerti

In collaborazione con ATER Fondazione e Emilia Romagna Teatro ERT/Teatro Nazionale

Hailu Mergia

La storia di Hailu Mergia è quella di una sopravvivenza e di una giustizia tardiva per anni trascorsi in esilio: il maestro, un tempo leader della band di Addis Abeba degli anni ’70 Walias, emigrò negli Stati Uniti dopo l’ascesa al potere del regime di Menghistu in Etiopia. Dopo aver gestito diverse attività, finì per fare il tassista all’aeroporto di Washington Dulles, continuando comunque a esercitarsi sulla tastiera sul sedile posteriore del suo veicolo durante i momenti di pausa.

Nel 2013, Hailu tornò sulla scena musicale grazie a Brian Shimkovitz, un blogger diventato proprietario dell’etichetta Awesome Tapes From Africa, che lo trovò per ripubblicare il suo insolito album solista del 1986, His Classical Instrument. “Se i Cluster fossero stati etiopi invece che tedeschi, probabilmente sarebbe questo il loro suono”, scrisse Pitchfork celebrando l’album.

Con alla guida un trio accompagnato da una sezione ritmica formidabile, Hailu suonò innumerevoli concerti sold-out e apparve nei principali festival.

Si può tranquillamente affermare che il rinnovato interesse per i rilassati groove ethio di Mergia culminò con l’uscita del suo album di ritorno Lala Belu all’inizio del 2018: il compositore fu menzionato in importanti quotidiani come il New York Times e The Guardian, suonando più di 70 concerti in tutta Europa in poco più di 14 mesi, con esibizioni in festival come We Out Here di Giles Peterson, End of the Road, Le Guess Who? e Field Day.

Quest’anno, Hailu ha pubblicato un nuovo album live intitolato Pioneer Works.

Enea Pascal

Enea Pascal è uno dei fondatori di Ivreatronic, Dj/Producer che ama mischiare sonorità diverse tra di loro, facendo capriole tra tracce costruite su batterie grezze, bassi acidi e vocalizzi imprevedibili. Nei suoi live rimbalza tra i generi, creando saliscendi coinvolgenti.

Nell’ Aprile 2020 ha pubblicato il suo primo EP “Good Travaj” per Ivreatronic, mentre a marzo 2023 è uscito il suo ultimo singolo Amis. Attualmente sta lavorando al prossimo album.

Colla Zio

I COLLA ZIO sono un giovane collettivo musicale milanese, tra i nomi più interessanti della nuova scena.
Non amano definirsi, parlano di COLLA ZIO come una situa, una banda, una colla, appunto. Su questa fluidità la loro musica pianta fieramente le proprie radici e trova la propria identità, raccogliendo le influenze di ciascun membro del collettivo: barre e canto si alternano e si intrecciano su un tessuto sonoro pop complesso e variegato, che esplode specialmente dal vivo in tutta la sua energia.

Il loro primo EP, Zafferano, risale al 2021. Nello stesso anno esordiscono dal vivo al Mi Manchi al Circolo Magnolia e durante il tour estivo condividono il palco con artisti come Rkomi e Lo Stato Sociale. Rockit e Italia Music Lab (SIAE) li hanno inseriti nei progetti da tenere d’occhio nel 2022. Nello stesso anno, con l’ingresso nel roster di Virgin Music (Universal Music), è l’anno di pubblicazione di tanti nuovi brani e della selezione, a fine anno, del brano Asfalto tra i sei progetti di Sanremo Giovani che entrano a far parte del cast del Festival di Sanremo 2023, in gara poi all’Ariston con Non mi va.
Nel febbraio 2023 è uscito Rockabilly Carter, il loro album d’esordio, seguito dal Rockabilly Blaster Tour che li ha portati sui palchi dei club e dei festival delle principali città italiane.
A novembre 2023, prima di uno strepitoso Fabrique, i Colla Zio pubblicano Amici Come Prima, un EP dal sound sofisticato che li ha portati, ad oggi, a sperimentare il più possibile nelle quattro mura dello studio milanese.

Floodlights

I Floodlights, rock band originaria di Melbourne, sono il nuovo fenomeno australiano. 

Dopo aver raggiunto la popolarità con l’EP Backyard del 2019 e l’acclamato debut album del 2020 From a View, il giovane quintetto ha collezionato una serie di apprezzatissimi concerti sold out in madrepatria, esibendosi anche insieme ad artisti del calibro di Amyl and The Sniffers e Arctic Monkeys. 

Nel 2023, hanno supportato live band come Pavement e Black Midi nei loro tour australiani e sono stati presenti anche al SXSW in Texas, USA. Sono poi andati in tournée in Europa e in Regno Unito, suonando in festival come Green Man e End Of The Road, dove hanno presentato il loro album più recente, Painting of My Time, selezionato per l’Australian Music Prize nel 2023.

Sono una di quelle band che dal vivo danno il massimo, con performance estremamente dinamiche, grezze ed energiche, ma che sanno come essere anche molto intime e coinvolgenti, intrecciando momenti introspettivi con ritmi esplosivi. 

Il lirismo evocativo è sempre stato al centro della loro scrittura ed è esaltato dal loro suono unico. Fin dall’inizio della loro giovane carriera, i Floodlights hanno esplorato tematiche che vanno dai turbamenti personali all’identità nazionale, con il paesaggio australiano sullo sfondo come forma di evasione. Painting of My Time segna uno step successivo per la band, pur mantenendo questi temi come centrali, mostra una chiara e inconfutabile evoluzione sonora, che dal vivo si traduce in uno spettacolo imperdibile e accattivante.

The KVB

Unendo produzioni intrise di riverberi con un’elettronica minimalista, la ‘coldwave’ in continua evoluzione dei KVB riflette sempre la loro maestria nella creazione di atmosfere sonore. 

Fin dalle prime uscite, come l’album di debutto del 2012 Always Then, i ritmi delicati e le esplosioni sonore di Kat Day e Nicholas Wood evocavano in egual misura Cabaret Voltaire e Jesus and Mary Chain. Successivamente, lo stile del duo ha introdotto i suoni snelli e taglienti di Only Now Forever del 2018, gli ampi spazi di Unity del 2021 e le atmosfere cupe e ballabili di Tremors del 2024.

Il cantautore/polistrumentista Wood ha formato i KVB nel 2010 come progetto solista mentre viveva a Southampton, in Inghilterra. Con questa versione del progetto ha pubblicato una serie di versioni limitate di cassette e vinili che includevano il singolo “The Black Sun” su FLA Records e l’EP di giugno 2011 Into the Night su Downwards Records. Quell’anno, il cantante/tastierista/artista visivo Day si unì a Wood, e i KVB pubblicarono il loro album di debutto, Always Then, nel 2012 su Clan Destine Records. In un impegnativo 2023, il duo pubblica il secondo full-length, Immaterial Visions, per l’etichetta Minimal Wave Cititrax a febbraio, seguito poi da un EP remix con contributi di Regis e Silent Servant a maggio. A novembre invece, esce una ristampa in cassetta e in edizione limitata di Minus One del 2011 per l’etichetta A Records, proprietà di Anton Newcombe, mente dei Brian Jonestown Massacre.

Nel 2014, i KVB si sono avventurati nello studio berlinese di Newcombe per registrare quello che sarebbe diventato l’EP Out of Body, che A Records ha pubblicato più tardi quell’anno. Questa sessione è significativa, perché sono le prime registrazioni dei KVB effettuate al di fuori dello studio casalingo del duo, nonché la prima volta che hanno lavorato con il batterista Joe Dilworth, noto per aver suonato con gli Stereolab e i Cavern of Anti-Matter. Wood e Day hanno raccolto alcuni dei lavori più sperimentali registrati nel 2014 su Mirror Being, che Invada ha pubblicato nel giugno successivo. La band ha continuato a muoversi in una direzione più sperimentale e fortemente elettronica con Of Desire del 2016, che i KVB hanno registrato con sintetizzatori vintage della collezione di Geoff Barrow, capo degli Invada. L’EP Fixation/White Walls è seguito nel 2017, e quell’anno il duo ha anche pubblicato un’edizione rimasterizzata per il quinto anniversario di Always Then. Inoltre, Wood ha lanciato il suo progetto solista Saccades con un album di debutto omonimo.

Per Only Now Forever del 2018, i KVB hanno adottato un approccio più libero e indipendente, registrando da soli nel loro appartamento di Berlino per gran parte dell’anno. Nel loro album successivo, Wood e Day cambiarono nuovamente marcia: prendendo ispirazione dalla cruda bellezza delle ville di lusso incompiute che hanno visto durante un periodo in Spagna nel 2019, Wood e Day hanno unito sintetizzatori retro-futuristici e ritmi ballabili alle loro basi shoegaze con l’aiuto del produttore Andy Savors in Unity di novembre 2021. Nello stesso anno apparve anche il secondo album dei Saccades, Flowing Fades.

I KVB si sono trasferiti a Cleopatra per il loro prossimo progetto, Artefacts (Reimaginings from the Original Psychedelic Era) di maggio 2023. Nato come celebrazione del cinquantesimo anniversario della prima raccolta dei Nuggets, l’album vede Day e Wood rielaborare le canzoni dei pionieri del psych-rock tra cui i Castaways, i Troggs e i Pretty Things nel loro oscuro stile electro-rock. Più tardi nello stesso anno, Wood pubblicò il terzo album dei Saccades, Land of the Hearth. 

Day e Wood sono tornati in Invada Records per Tremors dell’aprile 2024. Rivisitando i fondamenti industriali e post-punk dei KVB, il pop distopico dell’album è stato ispirato in parte dai racconti di Jorge Luis Borges sulla natura mutevole della verità.

Parra For Cuva

Se c’è una parola che riassume il sound di Parra per Cuva è “voglia di viaggiare”. La sua musica è nota soprattutto per respiro globale: è un terreno magico dove il tamburo d’acciaio caraibico può incontrare un antico strumento dello Zimbabwe su paesaggi sonori e melodie elettroniche che portano immediatamente la mente in luoghi lontani. È questo senso di apertura che il produttore elettronico e polistrumentista tedesco Nicolas Demuth ha coltivato fin dall’inizio, e anche se le sue produzioni diventano sempre più raffinate e il suo suono più maturo, la musica di Parra for Cuva mantiene intatta questa allusione al “vagabondaggio sonoro” a cui è difficile resistere. 

Nato nel 1991, è affascinato dal suono fin da giovanissimo. Il suo primo studio è stato nella sua cameretta a Northeim, una piccola città della Germania, dove tra i suoi giocattoli c’erano due altoparlanti molto rudimentali e un pianoforte midi. Il suo viaggio vero e proprio con la musica inizia con il pianoforte classico, ma il suo entusiasmo lo ha presto portato a fare incursioni nell’hip-hop, nel jazz, nel pop e nell’indie. Anche dopo aver scoperto la musica elettronica, trasferendosi poco dopo a Berlino per proseguire gli studi e intraprendere la carriera di produttore, il suo viaggio tra strumenti e linguaggi musicali diversi era appena iniziato. Oggi nel suo studio colleziona una variegata esposizione di strumenti – dalle campane ai flauti, alle kalimba e alle percussioni di ogni tipo – il che rende evidente quanto Nicolas sia un esploratore del suono.

Sebbene avesse già raccolto un seguito fedele con singoli in vetta alle classifiche e due album acclamati, Majouré (2014) e Darwîś (2016), è stato proprio con l’uscita di Paspatou nel 2018 che il nome di Parra per Cuva è diventato intrinsecamente connesso con un senso di voglia di viaggiare e il suo stile di produzione unico immediatamente riconoscibile in tutto il mondo. Con un titolo che omaggia il maggiordomo in Il giro del mondo in 80 giorni di Jules Verne, Paspatou ha mescolato field recordings e campioni, modulazioni stravaganti e riverberi con segmenti in cui Nicolas armeggiava con un nuovo strumento o in un viaggio. Paspatou ha saputo collocare Parra per Cuva in una posizione unica, come artista che non ha paura di mescolare sperimentazioni e dancefloor con paesaggi sonori acustici ed etnici.

Il suo quarto album in studio Juno, pubblicato nel 2021, ha portato la sua visione globale ancora più in là con la partecipazione di sette musicisti da tutto il mondo, molti dei quali Nicolas ha incontrato online e con cui ha lavorato a distanza. Juno ha dimostrato che la scena musicale elettronica berlinese ha molto più da offrire oltre alla hard elettronica e alla techno. Con questo album, Parra for Cuva ha dimostrato che è possibile creare brani adatti sia alla pista da ballo che a casa o al viaggio.

Parra for Cuva si è esibito in alcuni dei festival più famosi del mondo e ha registrato il tutto esaurito come Burning Man, Sziget, Fusion, Koko London o Concourse Project ad Austin. La sua musica è stata utilizzata come colonna sonora della serie TV Netflix, The Umbrella Academy e successivamente è entrata nella top 30 delle classifiche globali di Shazam. Nel 2023, ha remixato il brano Turning Away di Monolink e Light of Day di Odesza con Ólafur Arnalds. Il suo nuovo, quarto album in studio, Mimose, è uscito nella primavera del 2024. È un album con cui continua l’esplorazione del suono in un viaggio sorprendente e sensibile che unisce voci inquietanti, canti corali, linee di basso groovy, shaker che inducono trance e molte collaborazioni entusiasmanti.

Infinity Song

Infinity Song è una band di Soft Rock con sede a New York City, composta da quattro fratelli: Abraham, Angel, Israel e Momo Boyd. Con una combinazione di armonie vocali impeccabili, testi sognanti e sublimi riff di chitarra, la band crea un’esperienza trascendente per il pubblico, sia dal vivo che nelle loro registrazioni.

Educati a casa sia a livello accademico che musicale, insieme ai loro altri cinque fratelli e sorelle, dai genitori che hanno fondato i Boys & Girls Choirs di Detroit, i fratelli Boyd si esibiscono davanti al pubblico fin dalla scuola materna. Cresciuti ascoltando musica classica, gospel e jazz, con influenze come Pat Metheny, Marvin Gaye, la famiglia Winans e molti altri.

Il viaggio di Infinity Song è stato una scalata laboriosa ma avventurosa. Nel 2006, il patriarca della famiglia Boyd, John Boyd, trasferì l’intera famiglia da Detroit a New York, e lì iniziarono a esibirsi pubblicamente in tutta la città. Cantando al Metropolitan Museum of Art al mattino, sulla Fifth Avenue nel pomeriggio e a Times Square di notte, alla fine la Fontana Bethesda di Central Park divenne il loro palco permanente per i successivi 12 anni. Dopo diversi anni di sviluppo di una base di fan e trasformando i visitatori casuali del parco in fedeli sostenitori, il gruppo fu presentato a Jay-Z.

Nel 2016, la band firmò con Roc Nation grazie a Jay-Z, che consigliò loro di non conformarsi alla cultura artistica dell’etichetta, ma piuttosto di permettere alla cultura artistica di Roc Nation di adattarsi a loro. Quattro anni dopo, nel 2020, i fratelli fecero un grande successo con il loro album di debutto “Mad Love” e diversi video virali che accumularono milioni di visualizzazioni su tutti i siti di social media, attirando l’attenzione e il supporto di alcuni dei più grandi nomi di Hollywood.

Infinity Song sta attualmente godendo del successo del loro singolo virale, “Haters Anthem”, che viene rilasciato in anticipo rispetto al loro prossimo progetto. Con oltre 200 milioni di persone che hanno ascoltato la canzone, l’endorsement della popstar Doja Cat e numerosi articoli di stampa, il singolo orecchiabile sta facendo scalpore in tutto il mondo. Molti ascoltatori stanno persino paragonando la band a leggendari gruppi degli anni ’70 come i Fifth Dimension, The Mamas and The Papas e ABBA.

Con tutto questo entusiasmo intorno al loro prossimo progetto, Infinity Song è pronta a continuare a consolidare il proprio posto nello spazio dove viene creata la grande musica nella cultura odierna.

Sababa 5

Ritmi e melodie mediterranee, insieme a suoni provenienti dal mondo del rock e del funk psichedelico, che creano un vero e proprio mix tra oriente e occidente: questa è l’essenza dei Sababa 5. 

Traendo ispirazione da una vasta gamma di suggestioni, le influenze della band spaziano dalle registrazioni world music degli anni ’60 ai suoni analoghi della musica mediorientale degli anni ’70, in una miscela eclettica con la musica contemporanea che rende il suono dei Sababa 5 sempre dinamico e in continua evoluzione, attraversando, attingendo e rimescolando in modo unico e originale vari generi e ritmi.

Nonostante l’ampiezza del loro repertorio stilistico, nella loro vera essenza, i Sababa 5, fin dalle prime pubblicazioni del 2019, sono sempre rimasti fedeli alle loro radici groove e imperniate su quei ritmi contagiosi che risuonano con il pubblico indipendentemente dai confini culturali.

Dopo aver pubblicato una serie di singoli ed EP molto apprezzati, nel 2022 pubblicano il loro primo album omonimo “Sababa 5”, seguito da “Aspan” del 2023 e una serie di singoli tra cui l’ultimo, Halilim Halilim – 情熱の浜辺, uscito oggi: un tappeto di elettronica psichedelica e suoni mediorientali, accompagnati dalla voce della cantante giapponese Yurika Hanashima. 

 

Benefits

… parole pronunciate in modo rovente e fortemente politicizzato, che ruggiscono con un’intensità travolgente su uno sfondo di noise rock…” The Quietus

I Benefits sono qualcosa di diverso, qualcosa di primordiale ed essenziale che deve essere ascoltato”. NME

I fucking love Benefits” Steve Albini

Nei loro quattro anni di esistenza, è cambiato molto per gli agitatori di Teesside (UK), i Benefits. Durante il lockdown si sono trasformati da vivaci punk guidati dalle chitarre, in potenti e brutali signori del rumore, la cui musica furiosa e viscerale gli è valso quel tipo di passaparola che la maggior parte degli artisti può solo sognare. La voce parlata (e urlata) del frontman Kingsley Hall funge da giusto rimprovero alla retorica divisiva, xenofoba e velenosa proveniente dal di fuori, diffusa da coloro che vogliono trarre profitto dalle disgrazie, e che ha completamente stravolto il discorso pubblico.

 

Ogni volta che nasceva una delle polemiche pungenti della band, si diffondeva rapidamente sui social media come un antidoto a una malattia e raccoglieva sempre più persone a favore di quella determinata causa. Fin dall’inizio, la band ha saputo annoverare tra i propri fan, artisti di altissima caratura come Steve Albini, Sleaford Mods e Modeselektor. Seguirono presto entusiastiche coperture mediatiche da parte di magazine del calibro di NME, The Quietus, Loud & Quiet e The Guardian e altri. Nonostante tutto, il gruppo è rimasto a lungo fieramente DIY, muovendosi al 100% senza etichetta, ufficio stampa o altre figure specifiche del settore.

Ora, tuttavia, hanno deciso di fare un passo avanti, firmando con la stimata etichetta indie Invada che ha pubblicato il loro album di debutto ‘NAILS‘ il 22 aprile. 

Avremmo potuto pubblicare un disco in qualsiasi momento negli ultimi due anni, ma ci siamo trattenuti perché volevo aspettare che arrivassero le persone giuste“, afferma Hall. Il co-fondatore dell’etichetta Geoff Barrow dei Portishead è stato uno dei tanti ad essere stato affascinato dalla loro musica, e quando ha avuto l’opportunità di vedere il gruppo esibirsi dal vivo, nella sua nativa Bristol, ne è rimasto subito affascinato.

La sua fiducia nella band è stata ampiamente ripagata, producendo un disco che non solo conferma la genialità del gruppo, ma ridefinisce anche tutta una serie di aspettative. 

È un lavoro che cattura tutta la rabbia che li ha resi uno dei gruppi più emozionanti del paese e in cui il loro suono si evolve in modo nuovo e audace, sia dal punto di vista sonoro che emotivo. “Sarebbe stato facile fare solo dieci versioni di ‘Empire’, ma siamo più eclettici di così”, sottolinea Hall. “C’è molto di più da quello che potresti aspettarti di sentire da noi.

Prendiamo ad esempio il singolo principale “Warhorse”, una risposta giocosa a tutti coloro che hanno messo in discussione le qualità “punk” della band, che ha raccolto una serie di drum fill che scimmiottano artisti del calibro di Sex Pistols, The Clash e The Damned, e li ha trasformati in un implacabile elettro-banger ballabile. “Adoro il punk, adoro il cartoon punk, penso che sia geniale“, afferma Hall. Sa anche, però, che a volte il modo migliore per trasmettere certi tipi di messaggi è commuovere le persone. “Un pugno di ferro in un guanto di velluto”, dice. “Alla fine, per quanto sia importante commentare la povertà, l’estrema destra, la disuguaglianza sociale, vogliamo renderlo divertente anche per tutti”.

NAILS” è un disco è così forte che gli altoparlanti si logorano sull’orlo del collasso totale, ma, nonostante tutto il rumore, il momento più sorprendente di tutti è quando Hall si concilia con la sua vulnerabilità. Nella traccia di chiusura “Council Rust”, la musica si trasforma in una bellissima ondata di elettronica ambient e archi, con Hall che trascina la sua voce in un intimo monologo interiore che riflette su passato, presente e futuro con sorprendente profondità esistenziale. Così si chiude un disco che, nel suo insieme, offre l’opportunità di fare il punto su quanto sia ampia oggi la portata dei Benefits.

 

In questo album, ciò che diventa chiaro è quanto siano coesi i compagni di band di Hall. Insieme ai fratelli Robbie e Hugh Major, che sono stati con lui fin dall’inizio, e ai quali dobbiamo la componente l’elettronica più tagliente, una successione di vari batteristi ha tirato fuori sempre qualcosa di nuovo. Per quanto riguarda l’evoluzione dal vivo del gruppo, nel frattempo, l’aggiunta dell’ex batterista dei Mogwai Cat Myers – ora membro a tempo pieno – è stata, come dice Hall, “assolutamente incredibile. Ci ha assolutamente trascinato su un altro livello. Non vedo l’ora di iniziare a scrivere nuova musica con lei”.

 

La dice lunga sull’approccio dei Benefits il fatto che, con questa testimonianza/documento di definizione dei primi quattro anni ormai conclusi, la loro attenzione è già proiettata su ciò che verrà dopo. È una mentalità, dice Hall, che riflette un aspetto della loro regione d’origine che spesso viene trascurato. Nel bene e nel male, dice, “il Nord Est è sempre stato modernista, anche se spesso è dipinto come un’area che guarda al passato. Era all’avanguardia nella tecnologia della produzione dell’acciaio e delle opere chimiche; molti degli edifici sono in cemento degli anni ’60 e ’70. Anche il modo in cui proviamo ad articolare i nostri messaggi è modernista. Non stiamo cercando di richiamarci ai lati B del Britpop o degli Arctic Monkeys”.

Il messaggio delle canzoni dei Benefits è stato spesso presentato come sinonimo, in qualche modo, del loro particolare angolo della Gran Bretagna, ovvero il cuore del cosiddetto “Muro Rosso” che è passato dal partito laburista al partito conservatore nelle elezioni generali del 2019, ed è stata una delle più importanti roccaforti degli elettori del Leave durante il referendum sulla Brexit di tre anni prima. In una certa misura, questo è vero, ammette Hall, “ma non stiamo cercando di essere i manifesti del Nord-Est. Tanti altri posti hanno queste difficoltà, è un problema nazionale”. 

In definitiva, la caratteristica distintiva dei Benefits, è l’inclusività. “Ovviamente vogliamo fare concerti sempre più grandi, voglio suonare a Glastonbury e arrivare a Jools Holland, ma non si tratta solo di ricevere una pacca sulla spalla“, spiega Hall. “Penso che lo scopo della band non sia solo avere un disco o esibirci sul palco; si tratta di provare a fare qualcosa che arrivi alle persone. Per cercare di convincere le persone a credere in se stesse e a smettere di essere oppresse dalla Gran Bretagna moderna. I Benefits sono sempre stati un veicolo per incazzarsi, e noi vogliamo dimostrare che c’è quella voce, che va bene essere arrabbiati e frustrati. Che ci sono persone là fuori che la pensano allo stesso modo.”

 

Annie Taylor

Il quartetto Annie Taylor, con una frontwoman al comando, si è rapidamente ritagliato uno spazio nel panorama rock moderno grazie alla loro fusione dinamica di grunge, indie rock e influenze psichedeliche. La band è composta da Gini Jungi (voce, chitarra), Tobias Arn (chitarra), Michael Mutter (basso) e Daniel Bachmann (batteria). Il nome della band è un omaggio spiritoso alla prima donna sopravvissuta al salto delle cascate del Niagara in un barile.

Conosciuti per i loro show dal vivo elettrizzanti, gli Annie Taylor hanno girato ampiamente per l’Europa, costruendo una solida reputazione grazie alle loro performance ad alta energia. L’anno scorso, la band ha pubblicato il suo secondo album, “Inner Smile”, registrato con il rinomato produttore Ali Chant a Bristol, Regno Unito. L’album segna una significativa evoluzione nel loro sound, incorporando arrangiamenti più complessi e una gamma sonora più ampia. Brani come “Schoolgirl” e “Push Me” dimostrano la loro crescita come autori e musicisti, esplorando temi di auto-scoperta e resilienza.

Il 2024 è stato un anno di svolta per gli Annie Taylor, con una performance di spicco al SXSW di Austin, Texas, segnando il loro debutto negli Stati Uniti. Inoltre, hanno registrato una sessione con l’iconica stazione radio di Seattle, KEXP, consolidando ulteriormente la loro presenza internazionale.

Il viaggio degli Annie Taylor dai club underground di Zurigo ai palchi dei più grandi festival in Europa e negli Stati Uniti è una testimonianza del loro talento e dedizione. Con “Inner Smile” che segna un nuovo capitolo nella loro carriera, la band è pronta per un successo ancora maggiore negli anni a venire, continuando a spingere i confini della loro musica.

Bassolino

Napoletano di nascita e di ideali, conosciuto anche come Dario Bass, Dario Bassolino è pianista, produttore e compositore attivo nella scena jazz elettronica (e non solo) nazionale e internazionale. Ha all’attivo produzioni con Nicola Conte, LNDFK e Pellegrino, fra gli altri. Ha collaborato con Nu Genea, Kurtis Rosenwinkel, Jason Lindner, Asa Chang, Pink Siifu, Chester Watson, Paolo Fresu, System Olympia, Ghemon, Fitness Forever, Giuseppe Vitale, Stefano Costanzo, Pasquale Mirra, Voodoo Kid, Missey e moltissimi altri. Bassolino è il suo nuovo progetto. 

Anticipato dal singolo Napoli visionaria, l’album Città futura esce l’1 marzo 2024 per Periodica Records in Italia e per Jakarta Records sul mercato internazionale.

Personal Trainer

Se vi piace la musica pop che ti tiene sulle spine, i Personal Trainer di Amsterdam offrono esattamente questo nel loro secondo album. Essenzialmente il progetto di Willem Smit (che lavora con il co-produttore/collaboratore Casper van der Lans) in studio e una band dal vivo, i Personal Trainer hanno mostrato una grande capacità per l’esuberanza e la sperimentazione indie-pop fai-da-te in linea con il debutto del 2022, Big Love Blanket. Ora firmato con Bella Union, Willem torna rinvigorito con Still Willing, un album sfaccettato di brillanti contrasti e melodie vivaci, arrangiamenti esplosivi e suoni subliminali, testi giocosi e introspezione: in breve, un album pop eseguito con dinamismo, energia e fascino.

Come dice Willem, questo è un disco alimentato dai suoi estremi: a volte energico e rumoroso, a volte tranquillo e riflessivo, sempre pieno di piaceri nascosti. “Quando ascolto i dischi che faccio, la cosa principale che spero è che ogni volta che succede qualcosa, tu dica, ‘Wow.’ Mi piace essere sorpreso in quel modo da un disco, essere un po’ sballottato.”

Willem è l’epicentro della band, che è nata da spettacoli dal vivo improvvisati ed esaltanti con membri sempre variabili di diverse band locali che condividevano un palco affollato. La formazione dal vivo si è stabilizzata un po’, ma Willem accoglie ancora il contrasto con il suo lavoro registrato: “Quando faccio il disco, sono io a prendere le decisioni. Ma non posso dire a tutti esattamente cosa fare ogni secondo quando siamo sul palco. Ci sono, tipo, shaker che volano in giro o strumenti che vengono lanciati ovunque, quindi non ho la capacità di controllare tutto. E questo mi entusiasma davvero.”

La band è composta da Willem Smit (voce), Kilian Kayser (percussioni), Leon Harms (batteria), Mart Boumans (chitarra/sax), Franti Maresova (chitarre), Ruben van Weegberg (basso) e Abel Tuinstra (tastiere/synth).

“Un trionfo di creatività sonora, che unisce campioni, trucchi da studio e ganci imponenti.” Under The Radar

“Confortevolmente familiare ma straordinariamente unico; pantomimico e coinvolgente.” So Young Magazine

“I rocker indie olandesi giostrano abilmente con pathos, frastuono e il deadpan alla Malkmus.” MOJO

Say Yes Dog

Quando i Say Yes Dog, trio elettropop made in Germay e Lussemburgo, annunciano un nuovo tour, è sempre una promessa. 

Il loro elettropop è chiaramente pensato per balli scatenati ma, allo stesso tempo, le loro melodie riescono a toccare corde malinconiche, a volte gentili, spesso vibranti. 

Dalla loro formazione dieci anni fa ad oggi, il gruppo ha calcato i palcoscenici di tutti i continenti, fondendosi in un’unità compatta e collaudata. 

Dopo aver registrato il tutto esaurito nelle loro date più importanti a Berlino, Amburgo, Colonia e Monaco, proseguiranno il loro tour in autunno, con un tour di concerti che li porterà in tutta Europa. Durante questo tour presenteranno al loro pubblico un album nuovo di zecca e probabilmente il loro album più complesso finora: nel crogiolo di musica indipendente e synth-pop, tutte le sfumature di Say Yes Dog hanno trovato la loro forma migliore in “DRÄI”. 

Ride

Mentre i Ride lavoravano al loro straordinario nuovo album, il quartetto si è reso conto di aver superato, con la loro seconda fase, la durata della loro formazione originale. Quando Andy Bell, Laurence “Loz” Colbert, Mark Gardener e Steve Queralt si sono riuniti nel 2015, lo hanno fatto con il desiderio di ricreare quella magia musicale che li aveva resi una delle band britanniche più emozionanti della fine degli anni ’80 e inizio ’90. Certo, c’era un’eredità da celebrare, anniversari di album da commemorare e vecchi classici da rispolverare, ma ciò che i Ride desideravano veramente era continuare a innovare, riprendendo il filone che li aveva resi così entusiasmanti in origine. Si trattava di una reunion motivata da una sensazione di lavoro incompiuto.

Da allora sono stati pubblicati due album, “Weather Diaries” del 2017 e “This Is Not A Safe Place” del 2019. Entrambi prodotti da Erol Alkan, sono dischi che hanno riacceso la scintilla, conquistando sia i fan di lunga data sia un nuovo pubblico, presentando una delle band di chitarra più innovative della loro generazione. Tutto sembra aver condotto a “Interplay”, il settimo album imminente del gruppo. È il suono dei Ride che collegano tutti i punti, combinando gli attacchi di chitarra frenetici, i groove ipnotici e i ganci melodici sognanti dei loro primi lavori con un template sonoro più ampio, che include sfumature di synth, folk psichedelico, ritmi elettronici e paesaggi sonori noir-pop. “Capisci che questa è una cosa speciale”, afferma il cantante e chitarrista Gardener della dinamica tra loro. “È facile darla per scontata la prima volta, quando tutto va alla grande.”

Volete fare un breve viaggio indietro nel tempo? I Ride si sono formati a Oxford nel 1988 da quattro amici con una forte estetica da scuola d’arte, che combinavano la sensibilità del pop chitarristico degli anni ’60 con valanghe di rumore e ritmi incalzanti. Era una ricalibratura dell’indie-rock che sarebbe stata definita shoegazing, una musica sia sperimentale che popolare, potente e fragile. Preceduto da una serie di tre EP molto apprezzati dalla critica, il loro album di debutto del 1990, “Nowhere”, è considerato uno dei migliori debutti degli anni ’90. Tuttavia, entro il tempo del loro quarto album, “Tarantula” nel 1996, avevano raggiunto un punto critico, e le tensioni interne li avevano spinti a sciogliersi.

Ma è successo qualcosa di curioso mentre il quartetto aveva messo in pausa la band e, quando i Ride si sono riuniti nel 2014, erano circondati da un’ondata di gruppi – tra cui Tame Impala, Beach House, Animal Collective – che sembravano aver assorbito dosi pesanti delle prime registrazioni dei Ride. Otto anni nella loro seconda era, la band inizia sempre più a riconoscere quel periodo. “Interplay” è segnato da riferimenti a quella giovinezza.

“Ha molti riferimenti nei testi ai giorni passati”, dice Bell. “E a livello sonoro, ha le vibrazioni di alcune cose degli anni ’90. C’è una maturità, così come le influenze iniziali che emergono.” “Ovviamente, c’è un grande angolo dell’eredità in questa band perché molte persone erano innamorate di ‘Nowhere'”, aggiunge Gardener. “Ma per me, l’intera riformazione è stata perché sentivo che avevamo ancora una grande chimica come band. Era per quei momenti che sentivamo in studio mentre facevamo questo disco.”

“Siamo molto più maturi e capaci di gestire le difficoltà reciproche più efficacemente di quanto facevamo negli anni ’90”, spiega Queralt. “Eravamo ragazzi allora. Facevamo spesso i musi, litigavamo molto. Questo alla fine aveva portato allo scioglimento della band. Questa volta siamo più temprati.”

Quel senso di unità è stato essenziale per portare “Interplay” al traguardo. È stato un periodo di avversità nel mondo dei Ride. Gran parte di ciò era dovuto alla scrittura e registrazione durante una pandemia – un periodo di avversità condiviso da tutti, ovunque – ma c’erano anche rotture e una battaglia legale complicata con un ex manager che, secondo Gardener, “minacciava la nostra stessa esistenza.”

Questo ha instillato nell’album un senso di sfida, un disco che abbina i classici tratti lirici dei Ride come l’evasione, i sogni, l’insoddisfazione della vita moderna, il desiderio e la libertà con un senso di resilienza. “È stata una sorta di terapia”, dice Gardener, “e una liberazione dal periodo buio che l’ha preceduto. È stato decisamente un trionfo su molte avversità.” “Eravamo sotto molta pressione mentre facevamo il disco e questo ha influenzato l’atmosfera dello stesso”, afferma Queralt.

All’inizio, la band ha individuato una collezione di gemme pop degli anni ’80 – che vanno dalle stilizzazioni grandiose dei Tears For Fears all’onda new wave stratificata dei Talk Talk al bombastico inizio degli U2 – come punti di riferimento sonori. “È stato innescato dall’atmosfera della demo di Loz, ‘Last Night I Went Somewhere To Dream'”, dice Bell. “Abbiamo iniziato a ricordare quella roba widescreen degli anni ’80. Era musica di cui eravamo tutti consapevoli anche se non era tanto sul nostro radar quanto le cose indie mentre accadevano.” Bell ricorda che insieme a The Cure e The Fall, i membri dei Ride possedevano anche album di U2 e Tears For Fears nelle loro collezioni di dischi. “Fino a poco tempo fa, non pensavamo che il loro suono potesse influenzare così tanto un album dei Ride. Probabilmente pensavamo di essere troppo cool per quello al tempo!”

Le canzoni sono nate in vari modi. Inizialmente lavorando nello studio personale di Gardener, OX4, ci sono state lunghe jam da cui pezzi di musica venivano perfezionati e rielaborati in qualcosa di più conciso mentre ogni membro della band portava anche le proprie demo registrate in casa su cui lavorare. Tutto ciò è filtrato attraverso ciò che accade quando il quartetto suona insieme in una stanza, un’idea allusa nel titolo dell’album, un’idea di Colbert.

“Il modo in cui l’album è venuto insieme, c’era decisamente un senso di interazione all’interno della band”, dice il batterista. “Sembra solo funzionare come idea. Copriva tutto, il suono delle canzoni, l’arrangiamento delle canzoni, il modo in cui lavoravamo insieme. Sentirsi bene anche avere un titolo di una sola parola. Questa era la sfida: trovare una parola che riassumesse tutto. E quella era.”

John Maus

Definire l’identità artistica di John Maus, musicista tra i più affascinanti, creativi ed enigmatici del panorama contemporaneo, non è molto facile: attribuirgli l’etichetta synth pop sarebbe ingiusto nei confronti di quell’onnipresente aura squisitamente post punk, mentre racchiudere tutto sotto la definizione post punk sarebbe non solo riduttivo, ma anche banale. John Maus è uno sperimentatore, è un musicista senza limiti, un “pensatore” della musica prima ancora che un musicista, un artigiano, uno di quelli che ha basato la sua carriera artistica proprio su quel situarsi “fuori” dalle definizioni comuni.

 

Nato, influenzato e avvolto da uno spesso allure synth pop, dal 2006 in poi, attraverso la pubblicazione di quattro album fondamentali, ha saputo confezionare un tessuto di gelido minimalismo e di infinito significato, grazia genuina e umorismo assurdo. La sua musica, sebbene spesso descritta come retro-futurista in riferimento alle drum machine degli anni ’80 e ai synth utilizzati, attinge ovunque ed è sempre mutevole, sempre più personale e nostalgica. 

C’è una certa qualità cinematografica onnipresente nelle sue canzoni, con un pathos evocato da linee di basso propulsive, arpeggi infiniti e, naturalmente, la sua voce, che risuona profondamente ovunque. Moroder ha sicuramente contribuito a creare una mappatura del territorio, ma Maus è più interessato a cercare la cadenza attraverso il suo amore per la polifonia rinascimentale e la sperimentazione dietro un manto di post punk. È una fusione di idee musicali radicale quanto il suo intento: Maus è un “uomo fuori dal tempo” che cerca di dare un senso alla disumanità del nostro mondo attraverso la mobilitazione del linguaggio del punk rock.

Sono passati ormai tredici anni da quando l’apprezzatissimo We Must Become The Pitiless Censors Of Ourselves (2011) è apparso come un fulmine a ciel sereno che ha fatto girare la testa a tutti. Ora considerato un classico del pop sperimentale, Pitiless Censors fu una svolta e un enorme passo avanti per Maus, che portò a una grande rivalutazione del suo lavoro passato. 

Infatti, l’album di debutto Songs (2006) e il magistrale seguito Love Is Real (2007), all’improvviso divennero dischi preziosissimi alle orecchie dei suoi nuovi seguaci. Dopo aver girato il mondo con i Pitiless Censors e aver messo insieme una raccolta di rarità e brani inediti, Maus è tornato a dedicarsi alle sue attività accademiche e nel 2014 gli è stato conferito il dottorato in Filosofia politica con la sua tesi su comunicazione e controllo. Di lì a poco, iniziò a costruire il suo sintetizzatore modulare saldando componenti e assemblando pannelli finché non ottenne uno strumento che corrispondesse esattamente alla sua visione. Una volta compiuto questo prodigio, Maus è tornato alla scrittura di canzoni, iniziando a lavorare su quello che fu il suo quarto album vero e proprio, Screen Memories (2017). Screen Memories è stato scritto, registrato e progettato da Maus negli ultimi anni nella sua casa in Minnesota, conosciuta amichevolmente come Funny Farm. È un luogo solitario situato nelle pianure di mais del Midwest americano rurale. Il paesaggio è tanto maestoso quanto austero e inevitabilmente parte di quelle temperature invernali sotto lo zero si insinuano nei canti così come il ronzio delle vespe estive. 

Screen Memories si svolge come uno spettacolo, con la sua varietà di canzoni che diffondono luce e ombre ovunque. “The Combine” guida il corteo con una maestosità apocalittica tutta sua. Grappoli di accordi sfrecciano tra le solide tracce ritmiche e le campane suonate ad arte. Tracce come “Sensitive Recollections” e “Walls of Silence” traboccano dello splendore elegiaco a cui siamo abituati anche dal lavoro precedente di Maus, allo stesso tempo triste, ma pieno di redenzione. Mentre “Find Out” è una corsa da brivido persistente di assoli chitarristici istrionici in mezzo a drum machine scoppiettanti. “Over Phantom” canalizza un’energia perpetua molto simile, con i suoi cambiamenti di armonia iperattivi e grandi fioriture di eco vorticoso. “Sono un fantasma sul campo di battaglia” tuona Maus diverse miglia sopra i vasti acri di una melodia abbagliante e luminosa. Molti dei testi di John adottano questo approccio spartano, ma la loro reiterazione nel corso della canzone conferma il loro significato, che cambia via via attraverso la ripetizione. “Teenage Witch” e “Pets” utilizzano una tattica simile, quest’ultima unendo uno dei testi più divertenti di John con una colossale tessitura di basso. I testi alla fine della traccia sottolineano la tendenza escatologica dell’album, “stando tra il tempo e la sua fine”. “Decide Decide” trova Maus immerso in climi più sognanti, il suo arrangiamento di batteria e le linee di tastiera squisitamente vorticose precipitano evocativamente in enormi oceani di atmosfera. Derive synth donchisciottesche vengono alla ribalta anche in “Edge Of Forever“: la canzone suona come se fosse stata irradiata da una lontana sfera celeste. “Touchdown” invece è un ottimo esempio di come Maus crea con apprensione le sue canzoni, è un inno preparato e concentrato, con tasti scintillanti e ritmo monumentale. La tensione si rompe solo una volta per un intermezzo decisamente esuberante con Maus che fa eco ai comandi di “attraversare la linea!” Quella stessa sensazione di batticuore è presente anche in “The People Are Missing“, che cattura parte dell’intensità e della passione del frenetico live di John. 

Il 2018 ha visto John pubblicare un cofanetto da 6 LP che raccoglie tutti i suoi lavori fino ad oggi, incluso l’album “Addendum“, una versione gemella di “Screen Memories”. Da allora John è stato impegnato ad esplorare le opportunità di colonne sonore e attualmente sta preparando un nuovo album vero e proprio.

Aurora Leone

L’attrice, conduttrice e volto dei The Jackal Aurora Leone, reduce del successo del suo show precedente “Vero a metà”, torna a teatro con un nuovo spettacolo!

“TUTTO SCONTATO” è uno show comico ma non del tutto: “fa ridere ma ancheriflettere”. Un monologo scomodo come un sedile Ryanair nelle file centrali, magnetico come un adesivo in vetrina che ti invoglia ad entrare in un negozio a
trovare qualcosa che incontri il tuo gusto, a trovare la tua taglia; a trovare quello che stavi cercando. Ma si sa, alla fine non trovi mai niente di quello che volevi…

Aurora Leone esordisce nel ruolo di attrice in teatro con il monologo “Quotidianamente – una famiglia a pretesto” nel 2018; dopo l’apprezzatissima partecipazionead Italia’s Got Talent, nel 2019 fa il suo ingresso nella content factory dei The Jackal, nella quale tuttora riscuote grande successo come attrice e comica. Nel 2022 partecipa come concorrente a Pechino Express, in coppia con il collega Fru; porta in un tour di tre tappe nei teatri (Napoli, Roma e Milano) il suo secondo monologo “Vero a Metà” ottenendo due date sold out e partecipa come ospite alla prima e alla seconda stagione del programma “Prova Prova Sa Sa”, condotto da Frank Matano e disponibile su Prime Video. Nel 2023 è tra i protagonisti della serie ideata e prodotta da The Jackal in collaborazione con Mad Entertainment “Pesci Piccoli – un’agenzia, molte idee, poco budget” disponibile su Prime Video. Inoltre, da giugno 2023 è disponibile su Prime Video il suo primo monologo “Quotidiana mente – una famiglia a pretesto”, presentato in pieno stile The Jackal, attraverso riprese in teatro alternate da brevi clip in cui sarà protagonista il resto del gruppo.
Insieme a Fru, nel 2023, è stata la conduttrice dell’ultima edizione di “Italia’s got Talent” targata Disney+.
Nel 2024 è tra i concorrenti della quarta stagione di LOL, disponibile su Prime Video.

Fabio Celenza

Fabio Celenza nasce a Vasto (Ch) nel 1987 e, dopo la laurea in Popular Music presso il Conservatorio di Pescara, diventa noto al pubblico del web per i suoi doppiaggi comico-nonsense di rockstar internazionali caricati per sbaglio su YouTube, come ad esempio Mick Jagger, Keith Richards e Steven Tyler.

L’effetto è dirompente e lo consacra a fenomeno della rete, portandolo a collaborare con importanti testate come Wired, Dmax, Colorado (Italia Uno) e Zelig.  Dal 2018 condivide gioie e passioni con Elio e le Storie Tese che lo prendono sotto la loro ala protettrice affiancandolo nel suo percorso artistico. Sempre dal 2018 è collaboratore fisso di Propaganda Live (La 7) per cui ha realizzato tantissimi video doppiati di personaggi legati alla politica come quello sul Parlamento Inglese e Kim Jong Un.

 Parallelamente alla passione per i doppiaggi ha mantenuto viva anche quella per la musica e proprio da questa suggestione nasce l’idea di portare in tour, con una band, la sua esperienza da web star.

Ha deciso così di presentare al pubblico un progetto ibrido, difficile da incasellare e proprio per questo interessante e innovativo: un live show, con una band (basso, batteria, tastiere), con la quale renderà protagoniste le musiche realizzate per alcuni dei suoi video più famosi senza rinunciare ai suoi doppiaggi, tutti realizzati dal vivo e con il supporto delle immagini originali. Tra gli altri, proporranno al pubblico i brani realizzati con le immagini di Matteo Salvini, Vladimir Putin e Giorgia Meloni.

Line up:

Fabio Celenza: voce, chitarra

Emanuele Triglia, classe ’92, bassista e produttore, ha lavorato in diverse vesti con Coez, Joan Thiele, Mannarino, WrongOnYou, Davide Shorty. Nel 2023 vince il David di Donatello come “Miglior Canzone Originale” per “Ti Mangio Il Cuore” insieme a Elodie, Joan Thiele ed Elisa Toffoli.

Pasquale Strizzi, in arte QWALE, pianista, compositore e produttore. Ha lavorato con Marcus Miller, Wayne Shorter, Casey Benjamin (Robert Glasper Experiment), Marquis Hill, Gegé Telesforo e Giovanni Tommaso (Perigeo), Sergio Cammariere, Ghemon, Seven, Ainé, Davide Shorty e Serena Brancale.

Davide Savarese è un batterista nato nel 1993. Ha collaborato con Alex Britti, Motta, Villabanks, Margherita Vicario, Rocco Papaleo, Dolcenera, Motta,Danno (Colle der fomento), Orchestra di Piazza Vittorio, Alberto Urso, Davide Shorty, Elodie, Eman, Arisa, Randy Roberts, Gregory Hutchinson, Tullio de Piscopo, Malihini e tanti altri .

 

YHWH Nailgun

Come tante altre band, i YHWH Nailgun nascono durante il lockdown come progetto sperimentale formato da Zack Borzone (voce) e Sam Pickard (batteria). 

I due si trasferiscono a Brooklyn, New York, dove la band si espande con l’entrata di Jack Tobias ai synth e Saguiv Rosenstock alla chitarra. 

Il loro primo EP omonimo autoprodotto vede la luce nel 2022 ed è un viaggio alla scoperta di sé e alla ricerca di tutti gli strumenti strettamente personali necessari per comporre musica all’interno dell’ecosistema YHWH Nailgun. Vissuto più come un esercizio, questo primo lavoro ha permesso a ciascun membro della band di comprendere i propri processi compositivi singoli e collettivi, approfondendo le strutture e i sentimenti profondi alla base del progetto. La loro encomiabile capacità di esprimere un sound primitivo, graffiante, “piacevolmente umano e piacevolmente violento” con forme e linguaggi moderni, consente loro di farsi notare nella vivace scena newyorkese con il secondo EP, No Midwife and I Wingflap, e nel resto del paese affiancando band come Black Midi e Geese in tour. 

A ottobre 2023 fanno uscire “Castrato Raw (Fullback)”, accompagnato da un videoclip, e poco dopo “Tear Pusher”, oltre ad annunciare la loro presenza in molti festival in America e in Europa.