“A genius, a freak, a trailblazer!” NME
“The best and unique indie provocateur!” THE GUARDIAN
“If you believe the myth, Ariel Pink is home a lot!” NEW YORK TIMES
“Pink still has great pop instincts” SPIN
“It’s great to hear Pink lean back toward his noisiest tendencies” PASTE
“He’s something like the Tarantino of music: wielding an encyclopedic knowledge of the medium, and using it all – high art and low, insider and outsider – as grist for his unique pastiche-laden albums” FLAUNT
Ariel Marcus Rosenberg, noto come ARIEL PINK, è considerato tra i più eclettici ed innovativi artisti in ambito underground del terzo millennio.
L’avventura di ARIEL PINK nasce fra i nastri logori di cassette scambiate con gli amici e i vinili malandati dei genitori scoperti quasi per caso nella soffitta di casa: le basi da cui il giovane Ariel avrebbe iniziato a lavorare su una sfilza di canzoni, registrate in bassissima fedeltà nella cameretta di casa. Un hobby, una passione pronta a divenire fenomeno. La sua capacità di preservare il passato e trasformarlo nel proprio, unico, inimitabile mezzo espressivo ne ha fatto una delle figure figure più enigmatiche e innovative del panorama underground degli anni Duemila, in perenne e precario equilibrio tra rock e pop, tra leggerezza e sperimentazione, tra maturazioni spesso annunciate e mille inguaribili e irrinunciabili ambiguità.
Piace agli indie, piace agli hipster, ai waver, ai poppettari, a Madonna, alla critica seria, Simon Reynolds ha inserito il suo album “The Doldrums” al primo posto tra i migliori cinquanta album degli anni 2000, così come Pitchfork elesse “Before Today” miglior album dell’anno nel 2010.
Cresciuto a Los Angeles, l’eccentrico e trasognato ARIEL PINK è una delle figure più sfuggenti del nuovo pop psichedelico: un onnivoro cannibale di quelle suggestioni musicali che dagli anni 60 agli anni 90 hanno scandito le istanze giovanili. Un personaggio quasi fiabesco, capace di fare a brandelli intere scale armoniche per poi rimodellarle in eteree e impalpabili suggestioni vintage.
ARIEL PINK è diventato una vera leggenda nell’underground californiano e uno dei più affascinanti outsider degli ultimi anni, figura chiave del decennio 2010, avendo in larga parte contribuito a dar vita alla chillwave, una delle correnti più interessanti apparse
nel panorama musicale da inizio millennio.
Siamo nei primi anni 90, Ariel Rosenberg è un eccentrico adolescente di Beverly Hills, appassionato di gothic-rock e fan di band come Sisters Of Mercy, Bauhaus, Christian Death e Cure, a dirla tutta non proprio quello che ci si aspetta da un liceale californiano in pieno periodo grunge. Nel 1996, armato di mangianastri inizia a registrare canzoni su cassetta e dopo essersi diplomato alla Beverly Hills High School si iscrive al California
Institute of Art di Santa Clarita, dove continuerà la sua opera compositiva. Due anni più tardi metterà su nastro le incisioni che prenderanno il titolo di Ariel Rosenberg’s Thrash And Burn: Pre (Human Ear Music, 2006): la raccolta si snoda in un clima ovattato, influenzata particolarmente dai themes di Jan Hammer, dal Bowie “berlinese” e da Lou Reed, nonché dagli esperimenti elettronici di LaMonte Young.
Nelle registrazioni si può persino sentire, oltre al suo tipico human beatbox, il rumore dei tasti del registratore e il respiro di Ariel tra suoni scarni e rumori di sottofondo.
Tra il 1998 e il 1999 incide le tracce che andranno a formare Underground (2007), il primo album della “Haunted Graffiti series”, un disco più adulto e melodico del precedente, fondato su sonorità sixties e roots.
Tra il settembre 2000 e il luglio 2001 Pink dà vita alla terza e alla quarta puntata degli Haunterd Graffiti con Scared Famous (Human Ear Music, 2007) e FF>> (indipendent release, 2002), pubblicati indipendentemente come doppio nel 2002.
In Haunted Graffiti 5: House Arrest (Paw Tracks, 2006) registrato tra l’ottobre 2001 e luglio 2002 torna ai Sixties, al rock psichedelico e al sunshine pop, una sorta di originale quanto improbabile Donovan in salsa new wave. Haunted Graffiti 6 presenta una profonda immersione nei seventies, dal funk al power pop, dalla disco music alla new wave, una creatura ibrida che mescola ritmi da discoteca e un punk à-la Gang Of Four.
Haunted Graffiti 7 e Haunted Graffiti 8 sono registrati tra il 2002 e il febbraio 2003.
Nell’estate del 2003 Pink vanta ormai un repertorio con più di 500 canzoni, un’infinità di nastri mai rilasciati ufficialmente e parecchie collaborazioni alle spalle. Un’occasione di ribalta si presenta per lui a un concerto degli Animal Collective, dove viene presentato dal comune amico Jimi Hey alla band di New York che, pochi mesi prima, aveva fondato la propria etichetta personale: la Paw Tracks. Pink passa loro un cd masterizzato con le registrazioni di The Doldrums, e la band ne rimane talmente colpita che da lì a poco diventerà il primo musicista sotto la Paw Tracks.
Diventato ormai un nome noto del “sottosuolo” americano, l’interesse per Ariel Pink arriva (finalmente) da oltre oceano e nel novembre 2009 giunge la firma con la celebre etichetta indipendente londinese 4AD Records, antesignana del dream-pop e nome storico dell’alternative rock, con la quale usciranno tre album all’insegna del genio e della sregolatezza.
Il 26 aprile 2010 viene rilasciato “Round Round”, il primo singolo di Ariel Pink con la 4AD, un gran pezzo pop accompagnato da un video ipnotico girato da Wayne Coyne dei Flaming Lips con il suo iPhone. L’album Before Today è un barocco pastiche di camaleontico mimetismo para-zappiano, all’insegna di un bubblegum-pop filante e appiccicoso, infarcito di melodie glassate usa e getta, teso fra Joe Meek, Prince, i Fleetwood Mac e Phil Spector perso in una discarica di plastiche sonore usurate dal più strenuo consumo. Due anni dopo, è la volta di Mature Themes (4AD, 2012), dove ritroviamo un Ariel Pink versione latin lover, con una stravagante capigliatura rosa “big babol”, che sogna di ammiccare goffamente con ogni ragazza gli capiti a tiro.
Nei due anni che separano Mature Themes dal suo successore, intanto, non ci si annoia di certo. Ariel riceve una proposta di collaborazione nientemeno che dall’entourage di una certa signora Ciccone, aka Madonna, offerta che il nostro rifiuta senza risparmiarsi critiche accese al modo di operare della fu material girl.
Si apre con una sfilata di maialini rosa e impermeabili di plastica, il lavoro numero undici di Ariel Pink, Pom Pom, l’atto di fede più evidente consegnato dal nostro all’altare dello zappanesimo. Come dice in un suo articolo il sempre perspicace Simon Reynolds, i dischi di Ariel Pink danno quasi sempre la bizzarra sensazione di ascoltare il palinsesto bruciacchiato e gracchiante di una radiolina mainstream che risuona dal fondo incrostato
di una qualche piscina americana.
L’ennesimo cambio di scuderia, con il passaggio alla Mexican Summer, segna un’altra inversione di rotta per il ragazzo di Beverlywood, inaugurando un nuovo corso dove l’esuberanza corrente non collima inevitabilmente con l’abbondanza degli esordi,
ripristinando in parte toni più oscuri e lo-fi.
Dedicated to Bobby Jameson è il titolo del nuovo album uscito il 15 settembre 2017 per Mexican Summer con distribuzione italiana Goodfellas.
E’ un disco quasi terapeutico, un omaggio a Bobby Jameson: musicista, scrittore e artista di culto della controcultura americana scoperto da Andrew Loog Oldham che negli anni 60 godette di una momentanea notorietà collaborando con Rolling Stones e Frank Zappa, prima di essere fagocitato troppo presto nel proverbiale vortice di alcol, droghe e vari tentativi si suicidio. Jameson tornò a far parlare di sé solo nel 2007, anno in cui aprì
un blog ricco di dettagli sulla sua brevissima carriera musicale e sui rapporti tutt’altro che idilliaci con l’industria discografica, continuando ad aggiornare la sua pagina fino a pochi giorni prima della morte, avvenuta il 12 maggio 2015 a causa di un aneurisma dell’aorta
toracica.
“Il suo libro e la sua vita – ha dichiarato Ariel Pink – risuonavano così tanto dentro di me da avvertire la necessità di dedicargli il mio ultimo album”.