Grizzly Bear

    Grizzly Bear

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    Shields conferma i suoi autori come nome di punta di una scena made in USA in gardo di venire a patti con le proprie radici rimodernandole senza snaturarle. Il Mucchio

    Nonostante il successo, i Grizzly Bear non rinunciano alle trame fitte, agli squarci luminosi, alle mutevoli atmosfere del loro credo poetico.
 La Repubblica

    Shields contiene tutto quello che di meraviglioso c’è nei Grizzly Bear: suoni e voci che s’intersecano, sospensioni improvvise, sognanti e quasi mistiche, accelerazioni e aperture mozzafiato. Rumore

    Ascoltare un disco della band di Brooklyn è un’esperienza mistica come navigare tra le nebbie di Avalon.
 XL

    Correva l’anno 2009 quando uscì, a distanza di 3 anni dal precedente Yellow Sun, Veckatimest ed in questi tre anni diversi membri della band sono stati coinvolti in svariati progetti personali: da un lato, il cantante e chitarrista Daniel Rossen ha confermato l’identità chamber pop con l’EP Silent Hour/Golden Mile, dall’altra abbiamo assistito all’esordio elettropop di CANT, progetto del bassista/produttore Chris Taylor. Ed è forse stato questo sfogo creativo ad imprimere un’ulteriore evoluzione nel sound e nelle modalità dei Grizzly Bear, ritrovatisi per la seconda volta ad agire come band nella produzione di un album che abbandona completamente lo schema a due penne (con Droste primo tra i pari), più producer (Taylor) e batterista (Bear) a favore di un impegno organico dall’inizio alla fine con i quattro a selezionare la tracklist scegliendo proprio i brani con maggiore affiatamento reciproco.

    Shields si differenzia da Veckatimest per uno sforzo di coesione e sottrazione e per aver confinato gli arrangiamenti orchestrali – leggi: la passata cifra stilistica – ai fiati à la Sufjan Stevens <di Speak In Rounds e l’uso dei cori (e dei controcati) alla sola Gun-Shy. Diretta ed immediata, la scaletta rappresenta un ritorno a Yellow House considerando il lato della fruibilità, ma con un’inedita componente rock nell’uso di batteria (a tratti filo hardcore) e chitarra (con più riferimenti al catalogo touch’n’go e ai chitarrismi evoluti dei 90s).
Il cuore melodico, vero focus delle canzoni, porta, infine, agli Stati Uniti continentali: l’immaginario dell’uomo non ancora avvelenato dalla frenesia dei tempi moderni, che ha valori e sogna la tranquillità (Sleeping Ute , magari con il ricordo della California Fleet Foxes band con la quale, nel 2011, Droste ha collaborato.

    Grazie a SENTIREASCOLTARE  http://www.sentireascoltare.com /