Cerrone

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    Una passione per la batteria, e una per artisti come Otis Redding, Jimi Hendrix, Carlos Santana, Blood Sweat & Tears: è così che nasce la leggenda di un figlio di immigrati italiani, Marc Cerrone. Una leggenda preparatasi prima – in modo molto francese – esibendosi a Saint Tropez o nei vari Club Méditerranée con la sua band, i Kongas, e poi deflagrata quando Marc Cerrone ha iniziato a firmare i dischi a suo nome.
    “Love In C Minor” (1976), “Cerrone’s Paradise” (1977) e “Cerrone III – Supernature” (1977) sono infatti un trittico che è, assolutamente, pietra miliare: pietra miliare per la dance, per la disco, per la capacità di rinnovare ed estendere gli stili e gli stilemi delle piste da ballo dell’epoca; pietra miliare, semplicemente, per la musica tutta. Perché le produzioni di Cerrone hanno resistito incredibilmente bene al passaggio del tempo, venendo riscoperte in modo entusiastico via via sempre da nuove generazioni. Tutta la sensibilità da “French Touch”, dai Daft Punk e Bob Sinclar in giù, che tanto ha significato per la club culture così come la conosciamo oggi, ha e paga debiti immensi al musicista italo-francese, su questo non c’è la minima discussione.

    Con una discografia sconfinata, un’attitudine sempre solare e positiva, una capacità di prendersi rischi artistici senza mai rinunciare al divertimento, ancora oggi un set di Cerrone è un’esperienza di quelle rare: non solo per pagare tributo alla Storia della musica con la “s” maiucola ma, ancora più importante, per respirare vibrazioni esaltanti, coinvolgenti, senza tempo, tra synth vorticosi, aperture improvvise ed intrecci ritmici irresistibili – armi in grado di coinvolgere le piazze più imponenti e vertiginose (storiche le sue esibizioni a Parigi o a Tokyo di fronte a centinaia di migliaia di spettatori). Un autentico maestro: ora come allora.